Cosa significa progettare un giocattolo oggi? In un mondo tecnologico e connesso, anche i giocattoli si adattano ai tempi. Intervista ad Arianna Vignati, Direttore del Master in Design for Kids & Toys del Politecnico di Milano.
Come nasce il Master e con quali finalità?
Il Master in Design for Kids & Toys nasce nel 2018 come naturale opportunità di far diventare un corso di specializzazione partito nel 2011 al Politecnico di Milano in un Master universitario di primo livello (quindi un percorso formativo di eccellenza alla Scuola del Design del Politecnico di Milano che è 6° nel ranking mondiale). Abbiamo iniziato a occuparci di design per il giocattolo perché ci siamo resi conto che c’era un vuoto formativo e professionale in un ambito che per le aziende del settore era ormai cruciale: quello dello sviluppo di sistemi prodotto capaci di rispondere simultaneamente al bisogno degli utenti (le nuove generazioni di bambini) e dei consumatori (i genitori che acquistano). Occupandoci di design del giocattolo ci siamo resi conto che saper progettare un gioco vuol dire saper progettare qualsiasi prodotto abbia come utente il bambino e come consumatore l’adulto. È per questo che abbiamo definito un nuovo ambito disciplinare e formativo, quello del Design for Kids & Toys.
In un mondo tecnologico e connesso, anche i giocattoli si adattano ai tempi. Cosa significa progettare un giocattolo oggi?
Il gioco rappresenta uno dei modi privilegiati che il bambino ha per esplorare il mondo esterno e le relazioni interpersonali, per sviluppare abilità motorie e cognitive, per sperimentare ruoli e per mettere in atto la propria creatività. Questo non è cambiato con la trasformazione digitale. Semmai sono cambiati gli “strumenti”, i giocattoli (ma non solo), che danno forma a questa esperienza di crescita che il bambino fa. Il ruolo del progettista in questo contesto è proprio quello di saper guardare alla natura profonda del bisogno del bambino (quella appunto di sperimentare e conoscere attraverso il gioco) e di coniugarlo con le opportunità “buone” che la tecnologia offre. Come sempre nel design si mette al centro l’utente e si usa la tecnologia come un mezzo per rispondere in modo adeguato e originale ai suoi bisogni. Questa è davvero la cosa più semplice ma più innovativa che potevamo fare nel nostro Master.
Quali competenze sono necessarie, tra vincoli di sicurezza ma anche cognitivi, per una nuova generazione di designer di prodotti innovativi per bambini?
Le competenze di progettisti che vogliono lavorare in questo ambito sono davvero tante! È per questo che il progetto formativo del Master si basa su un modello di blended learning che integra moduli formativi teorici in modalità e-learning con attività pratiche di workshop e un project work in azienda. Le discipline che abbiamo incluso nel percorso formativo vanno dal design strategico e il design dei servizi, conoscenza del settore dei mercati e delle imprese; tecnologie e materiali; normativa e sicurezza; pedagogia, psicologia, ergonomia cognitiva; comunicazione e distribuzione. Non è possibile pensare oggi di acquisire tutte queste competenze in modo autodidatta. La formula dell’e-learning con attività pratiche di workshop ci ha permesso di essere molto inclusivi verso chi già svolge una attività professionale (nel mondo del design, della comunicazione, del marketing, dell’educazione, della formazione o della ricerca & sviluppo) e vuole acquisire competenze specifiche nello sviluppo di prodotti, servizi, eventi, per i bambini. La passione per i bambini è la prima vera competenza che accomuna tutti i professionisti che abbiamo formato sin d’ora.
Quali sviluppi promette il settore del giocattolo?
Il settore del giocattolo è abbastanza stabile dal punto di vista economico. Da anni collaboriamo con Assogiocattoli che è l’associazione di riferimento e proprio grazie a loro abbiamo capito che questo settore ha bisogno non solo di formazione di nuove figure professionali ma anche di un sistema di attività legate alla ricerca, all’innovazione e alla comunicazione. Con questa consapevolezza abbiamo inserito il Master come parte di un sistema complesso di iniziative: la ricerca attraverso un osservatorio dedicato al kids, la ricerca applicata e la consulenza per le imprese e una collaborazione ormai in fase di consolidamento con The Playfull Living per realizzare eventi che siano momenti di ricerca di trend e allo stesso tempo vetrine di innovazioni possibili (lo abbiamo fatto al Milano Film Festival e a G Come Giocare e stiamo preparando Pitti Bimbo e la Milano Design Week 2020). Stiamo cercando di attivare un circuito virtuoso di partecipazione delle aziende a tutte queste attività (formazione, ricerca e comunicazione) perché siamo certi che solo lavorando a 360° su tutte queste dimensioni si possa portare crescita e vero valore a questo settore.
Alcune aziende stanno creando giocattoli ‘intelligenti’ che utilizzano la tecnologia di riconoscimento vocale, sanno parlare e ‘provare’ emozioni, creando una sorta di connessione affettiva con i bambini. C’è qualcosa di cui dovremmo essere preoccupati e quali invece possono essere i vantaggi?
La diffusione delle tecnologie digitali ha favorito due fenomeni – confermati dalla letteratura – che rappresentano due facce della stessa medaglia. Da un lato, sembrano esserci possibili effetti negativi legati all’utilizzo del digitale da parte dei bambini: come emerso dai primi risultati di uno studio[1] coordinato da Martin Paulus, del Laureate Institute for Brain Research a Tulsa in Oklahoma, i bambini che passano più tempo davanti allo schermo di PC, tablet, TV o smartphone mostrano una maggiore frequenza di comportamenti aggressivi e livelli minori di intelligenza deduttiva. Dall’altro, il digitale, se utilizzato in modo opportuno, può portare a esperienze positive di apprendimento: secondo uno studio della Canadian Pediatric Society, pubblicato nel 2017, emerge che contenuti di qualità possono migliorare le abilità linguistiche e sociali per tutti i bambini dai 2 anni in su, in particolare per i bambini che vivono in povertà o che sono altrimenti svantaggiati. Programmi e giochi con finalità educative ben concepiti e adatti all’età e attività interattive su touch screen possono aiutare i bambini ad apprendere atteggiamenti positivi sul piano delle relazioni, dell’empatia, della tolleranza e del rispetto. Questi studi sono stati davvero importanti per noi per mettere in luce quanto sia determinante la componente progettuale alla base dell’uso della tecnologia nel settore del giocattolo. Non esiste una tecnologia buona o cattiva, tutto dipende da come viene utilizzata. E’ anche in questo contesto che si colloca la nostra proposta di formazione del Master.
AI♥FUN è il progetto editoriale di PHD nato per raccontare il lato divertente dell’AI: quali sviluppi immaginate per le tecnologie avanzate applicate al mondo del divertimento?
Anche noi ci siamo divertiti ad immaginarlo chiedendo direttamente ai bambini. Abbiamo fatto una attività di co-creation con 109 bambini e abbiamo chiesto loro di dirci quale “ingrediente” vorrebbero mettere nel loro gioco ideale. Il movimento è stato scelto dai bambini di tutte le fasce d’età (nel 37% dei casi nella fascia 3-5 anni, 33% nella fascia 6-8, 28% nella fascia 9-12): i bambini nella fascia 6-8 mettono al secondo posto le App (26%), mentre quelli della fascia 9-12 il comando vocale (23%). Abbiamo incrociato questi dati con una analisi dei prodotti presenti alla Fiera di Norimberga del 2019 e abbiamo visto che per quanto riguarda le tecnologie digitali integrate al prodotto c’è prevalenza di uso del machine learning (65%) e Internet of Toys (50%), mentre intelligenza artificiale (30%) e realtà aumentata (25%) sono ancora poco presenti. Certamente c’è spazio per un uso intelligente ed inedito della tecnologia in questo settore, non solo pensandola integrata ai prodotti ma anche utilizzata per lo sviluppo di servizi ed esperienze capaci di aumentare l’esperienza di crescita dei bambini. Non dimenticando mai di mettere il bambino al centro!
[1] Trial ABCD (Adolescent Brain Cognitive Development) mira a reclutare 11.500 bambini di 9 e 10 anni seguendoli per un massimo di 10 anni e raccogliendo informazioni dettagliate sull’uso dei media incrociate con i dati delle scansioni eseguite ogni due anni con la risonanza magnetica (MRI) cerebrale.